Gli “spiriti affini” in Lucy Maud Montgomery

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La ben nota espressione usata da Anne Shirley nella saga di Anne di Tetti Verdi (Anne of Green Gables) «spirito affine» ha un valore fondamentale e comunica un messaggio preciso. Il termine “affinità” deriva dalla chimica, come chiarisce Goethe ne Le affinità elettive, ed è:

 

La facoltà che hanno due o più elementi, due o più sostanze, di avvicinarsi senza sforzo, di attrarsi reciprocamente e, all᾽atto del loro incontro e del loro contatto, di unirsi, di determinarsi e fondersi spontaneamente […]. E le affinità si manifestano con maggiore e completa evidenza negli acidi e negli alcalini, i quali, benché siano ognuno perfettamente diverso dall’altro della stessa famiglia, pure – e forse appunto per questo – si afferrano, si modificano, si fondono, formando, nella fusione, un altro corpo, un corpo nuovo.

Le affinità elettive (Barbera Editore – trad. anonimo)

Dunque, come il corpo umano funziona grazie a equilibri chimici, così anche le relazioni si trovano sotto il loro dominio. Montgomery riprende questo concetto e lo trasferisce ai legami in senso lato, riferendosi allo stretto rapporto che può instaurarsi tra due individui che, sebbene diversi sotto vari aspetti, sono connessi per passioni o ideologie, e si scelgono non volontariamente ma guidati da una forza superiore che li lega indissolubilmente dal primo istante.

Tuttavia, «spirito affine» ha un’etimologia che richiama un significato ancor più profondo; deriva dall’inglese «kindred spirit»: spirit, ovviamente, come ‘spirito’, ma kindred? Il termine, usato con l’accezione di aggettivo per la prima volta nel XIV secolo, deriva dall’Old English cynræden (che indica un kinship, un legame di parentela), unione di cynn (progenie) e ræden (condizione, disposizione). In Middle English cynræden si muta in kynrede, che significa ‘famiglia, relazioni di sangue, di parentela, stirpe’.

In breve, essere uno spirito affine non equivale solo a un rapporto di affezione, di unione, ma a un sentimento più speciale, un legame spirituale di appartenenza e di sangue.

[…] Gli spiriti affini non sono così rari come pensavo. È stupendo scoprire che ce ne sono così tanti al mondo.

Anne di Tetti Verdi (Lettere Animate – trad. Oscar Ledonne ed Enrico De Luca)

Lucy Maud Montgomery utilizza l’espressione «spirito affine» 30 volte all’interno della serie dedicata ad Anne Shirley, facendone una sorta di refrain del concetto che la protagonista ha delle relazioni umane: 16 volte in Anne di Tetti Verdi (1908), in riferimento al rapporto di Anne con Matthew, Diana, la signora Allan, la signorina Stacy e persino la vecchia signorina Barry (zia di Diana); 7 volte in Anne di Avonlea (1909), quando si parla dell’amicizia che lega Anne e Paul Irving, il signor Irving, e la signorina Lavendar; 4 volte in Anne dell’Isola (1915), e 6 volte ne La casa dei sogni di Anne (1917), con la variante «kindred soul», riferito a Diana (che si ritrova anche citata nell’autobiografia Il sentiero alpino – La storia della mia carriera), e «the race that knows Joseph» ossia «la razza che conosce Giuseppe», citata per la prima volta nelle Cronache di Avonlea (1912), ma spiegata solo nel quinto volume della saga:

[…] Entrambi apparteniamo alla razza che conosce Giuseppe, direbbe Cornelia. […] Cornelia divide la gente in due tipologie – la razza che conosce Giuseppe e la razza che non lo conosce. Diciamo che se qualcuno vede le cose nel tuo stesso modo, e ha praticamente la stessa opinione sulle cose, e gradisce le stesse battute che gradisci tu – il motivo è che appartiene alla razza che conosce Giuseppe.

La casa dei sogni di Anne (traduzione mia)

La «razza che conosce Giuseppe» è una citazione dal libro dell’Esodo (1:8), in cui si racconta che un nuovo faraone salì al trono d’Egitto, ma costui non aveva conosciuto Giuseppe, nel senso che non aveva apprezzato il suo regno né i suoi tentativi per mantenere la pace tra i popoli, e difatti aveva imposto la schiavitù ai cittadini d’Israele, temendo che in caso di guerra si sarebbero alleati con gli avversari; in definitiva, non aveva conosciuto Giuseppe perché non sposava i suoi princìpi di umanità cristiana, quindi non credeva in Dio. Tale espressione sarà ripresa 4 volte da Montgomery nella Valle Arcobaleno (1919) e 2 in Rilla di Ingleside (1921), con la variante aggettivale «race-of-Josephy». Il terzo volume della serie di Emily di Luna Nuova, Emily’s Quest (1927), è dedicato a «Stella Campbell Keller of the tribe of Joseph».

Nella raccolta di lettere pubblicate sotto il titolo di The Green Gables Letters: From L. M. Montgomery to Ephraim Weber, 1905-1909 «kindred spirit» è citato 3 volte in una missiva: l’autrice si duole del fatto che, secondo lei, tale concetto non sia stato compreso appieno da molti lettori che si definivano con troppa facilità «spiriti affini» di qualcuno:

[…] Vorrei non aver citato gli “spiriti affini” nel mio romanzo. Ogni fanatico che mi ha scritto al riguardo afferma di essere uno “spirito affine”. Dedicherò il mio nuovo romanzo agli “spiriti affini”. Voi, comunque, ne fate parte. Ma molta gente penserà di farne parte quando non è così.

Lettera del 10 settembre 1908 a Weber (traduzione mia)

Essere uno spirito affine è una questione di grande rilievo, tanto che Montgomery ne inserisce diversi nelle sue opere (a riprova di quanto avesse a cuore un simile concetto): se in alcune si ritrova solo «kindred» con il senso di affinità di sangue (vd. Un’intricata matassa o Emily di Luna Nuova o la poesia In an old farmhouse, in cui il termine connota delle mani familiari), in altre questo legame ritorna, pur non in maniera esplicita: Kilmeny del frutteto offre un esempio di sentimento amoroso che sboccia a prima vista e va oltre le parole, che viene nutrito di timidi sguardi e note di violino; anche L’amante di Miriam, short story inclusa in La stanza rossa e altre storie di fantasmi, dimostra che l’affinità fra due anime può persino superare le barriere tra il mondo dei vivi e quello dei morti.

Articolo a cura di Miriam Chiaromonte

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Rilevato dalla macchina fotografica

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