L’India e l’esotico nei romanzi di Frances H. Burnett

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Frances Hodgson Burnett

 

L’India è parte dell’immaginario esotico di molti romanzi di fine Ottocento. Nei romanzi per bambini della scrittrice anglo-americana Frances Hodgson Burnett (1849-1924), il legame con la sua terra natale, l’Inghilterra, si manifesta anche attraverso un immaginario letterario dell’India e delle colonie che è tipico di gran parte della produzione letteraria inglese di fine Ottocento.

La donna subì la perdita dei genitori in giovane età e poi, partita per l’America, fu costretta a vivere il trauma del distacco e dell’adattamento. Non è un caso dunque che nei suoi romanzi i protagonisti siano bambini orfani o cresciuti da adulti anaffettivi, peraltro costretti a lasciare il luogo dove sono nati.

È in particolare nei suoi classici senza tempo Il giardino segreto e La piccola principessa che prende forma tale dimensione immaginifica delle colonie come luoghi esotici dell’immaginario fiabesco, mitico e mistico, ma anche come referenti costanti di uno spazio geografico e sociale ‘altro’, non conforme e pertanto pericoloso.

 

La piccola principessa

 

La piccola principessa: l’India come elemento fiabesco

Ne La piccola principessa (1905), Sara Crewe cresce in India fino all’età di 7 anni, quando viene spedita in Inghilterra per frequentare un collegio esclusivo. Qui viene trattata egregiamente grazie ai lauti contributi del padre, che nel frattempo è stato richiamato in India per affari legati all’estrazione di diamanti. Quando si diffonde la notizia della sua morte, la sorte della bambina viene stravolta: privata dei suoi privilegi, viene assunta come sguattera per svolgere i lavori più duri. Riuscirà a sopravvivere ai soprusi e alle ingiustizie della crudele direttrice Miss Minchin grazie alla sua amicizia con Becky, l’umile sguattera dell’istituto, e alla loro fervida immaginazione.

 

Illustrazione dell’incontro tra Ram Dass e Sara tratta dalla novella Sara Crewe; or, What Happened at Miss Minchin’s (1888)

 

Svariati personaggi verranno successivamente in aiuto della piccola Sara: primo fra tutti Ram Dass, servo indiano, e il misterioso benefattore Mr Carrisford, anch’egli indiano, che risolleveranno il morale della bambina facendole trovare quasi per magia cibo in abbondanza, tappeti, cuscini e comodi materassi.

Nel rifacimento cinematografico de La piccola principessa (Alfonso Cuarón, 1995), l’elemento fiabesco e narrativo dell’India occupa uno spazio più ampio ed evocativo all’interno della storia. La narrazione si espande e si arricchisce in una serie di flashback che rievocano con colori sgargianti i miti della letteratura religiosa indiana.

Le leggende di Rama e Sita, divinità in forma umana, scorrono in parallelo alle vicende di Sara e del padre, dichiarato morto in guerra da Miss Minchin. Il potere del racconto e lo spazio fantastico della fiaba, contrapposto al rigore dell’educazione e alle gerarchie sociali e razziali già visibili nel contesto del collegio (vedi Becky, che è interpretata da un’attrice di colore), non solo rendono possibile lo svolgersi della storia e il risolversi delle tensioni, ma liberano e danno un senso alle giornate delle piccole protagoniste. La fiaba diviene momento liberatorio e redentivo per le bambine del collegio, in barba alla severa pedagogia promossa al collegio stesso.

 

Ram Dass e la sua scimmietta
La coppia divina Sita e Rama (dal film di Alfonso Cuarón)
Il giardino segreto: l’India come luogo “altro”

Ne Il giardino segreto (1911), la funzione positiva e rigenerativa del  giardino, luogo simbolo dell’anima, ha un carattere più mistico che solamente esotico. Il giardino potrebbe incarnare un’utopia – letteralmente non-luogo ideale – dove si mette in atto una pedagogia innovativa secondo la quale il bambino gioca, lavora in gruppo e così facendo apprende libero dall’occhio vigile dell’adulto. In questo senso, l’operato dei ragazzini all’interno del giardino riprende alcune dottrine teosofiche e del cristianesimo scientifico molto in voga all’epoca che promuovevano il potere rigenerativo della natura e la forza curativa del ‘pensiero positivo’.

 

Il giardino segreto

 

Sebbene sia questa la lettura più semplice e diffusa de Il giardino segreto, si è anche detto altro circa l’esistenza intrinseca nei romanzi inglesi dell’epoca di un’ideologia positivista che disprezza, allontana e stigmatizza il diverso. Nel nostro caso, a prevalere è l’ideologia vittoriana della superiorità dell’impero inglese e dei suoi cittadini (bianchi), colonizzatori per una giusta causa, quella della civilizzazione del selvaggio. Forse inconsciamente, la Burnett contrappone i due luoghi simbolici secondo distinte geografie sociali. In altre parole, il giardino rappresenta tutto ciò che l’India in realtà non è: luogo esclusivo ed immacolato, certamente magico e segreto, ma lontano dal clima insopportabilmente caldo, dalle foreste e le strade sudice dell’India.

Agli occhi dello zio e degli altri residenti del maniero inglese, Mary cresce malaticcia, viziata e capricciosa poiché privata delle cure amorevoli dei genitori e consegnata alle cure dei domestici indiani: “Il viso era giallognolo come i capelli perché era nata in India e per un motivo o per l’altro era stata perennemente malata.” Cresciuta in India, luogo di fascino e perdizione, l’aspetto lurido e selvaggio della piccola Mary è da imputarsi anche all’inciviltà di un popolo infantile e allo stato brado come quello indiano.

 

Scena iniziale dal film The Secret Garden (2020)

 

L’ultima versione cinematografica ha tentato di mascherare il pregiudizio razziale dell’opera della Burnett, modificandone l’incipit. Il trauma della perdita dei genitori viene rimpiazzato dal trauma di un intero popolo. Nel film la bambina resta sola durante gli scontri interreligiosi tra hindu e musulmani che seguirono la Spartizione del paese in due nazioni distinte: l’India e il Pakistan.

 

Libri consigliati di F. H. Burnett:

 

Nella stanza chiusa

 

Segui Daniela Cappello:
Daniela nasce a Napoli, dove si laurea in lingue orientali e inizia la sua avventura con l’India. Tra viaggi a Calcutta, traduzioni di Gramsci, e fumetti bengalesi giunge a Heidelberg per svolgere la sua ricerca di dottorato sulle poesie della Hungry Generation, un gruppo di poeti osceni e ribelli degli anni Sessana. Tra tante altre cose, impara a danzare con l’hula hoop, strimpella la sua chitarra, e scrive storie senza fine.

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